Espositione d'un sonetto platonico
Title
Espositione d'un sonetto platonico
Description
8°. A-G8. ff. 56: [1], pp. 3-109. Italics. 165×105 mm.
Creator
Publisher
Date
1549
Contributor
Type
Prose
Verse
Identifier
Spatial Coverage
Audience
Edition ID
58
Genre
Copy seen
London, BL, 240.i.22.(4.)
Title page
ESPOSITIONE / D'VN SONETTO PLATO- / NICO, FATTO SOPRA IL PRIMO / effetto d'Amore che e il separare l'anima dal / corpo de l'Amante, dove si tratta / de la immortalita de l'anima / secondo Aristotile, e se- / condo Platone. / Letta nel mese d'Aprile nel 1548. nel / consolato del Magnifico Gian- / batista Gello. / [flower] / IN FIORENZA. / MDXLIX.
Colophon
[no colophon]
Paratextual elements
1. epistle by Lattantio Eugenio da Montefano to the Author (April 30th 1548), p. 3 [f. Aiir].
2. sonnet by Lattantio Eugenio da Montefano to the Author (inc. Pompeo che da quegl'alti eterni chiostri), p. 3 [f. Aiiv].
3. epistle by the Author to Francesco Torello, p. 5-6 [f. Aiiir-v].
2. sonnet by Lattantio Eugenio da Montefano to the Author (inc. Pompeo che da quegl'alti eterni chiostri), p. 3 [f. Aiiv].
3. epistle by the Author to Francesco Torello, p. 5-6 [f. Aiiir-v].
Notes
In the dedication letter to Torello, the Author mentions "Portio Napolitano" (i.e. Simone Porzio) as his Master.
Internal description
<p. 3> AL MAGNIFICO MESSER / Pompeo da Pescia. <inc> Non più tosto si seppe chi era in Pisa caro M. Pompeio, che mi vennero a trovare di molti scolari vostri e miei amicissimi, i quali sapendo quanta sia l'amicizia nostra, parendo loro d'essere con esso voi, si sono meco rallegrati de le due lettioni, che con tanta sodisfattion d'ognuno e honor vostro, leggeste ne la ornatissima e felicissima Academia Fiorentina. <expl> Però vi prego per l'amicitia che è fra noi e per l'amor che mi portate, che vogliate risolvervi a darla alla stampa, acciò che voi al desiderio comune, et io agl'amici nostri sadisfacia, al che fare quanto me n'è lecito ve n'astringo, che mi rendo certo che n'harete non meno utile che honore, non altro, mandovi un mio soneto come che gl'è, e baciovi la mano. Di Pisa l'ultimo d'Aprile. MD xlviii.
<p. 4> <sonnet> Pompeo che da quegl'alti eterni chiostri / Scendeste, ove discende allhor più pura / Quella parte di noi che tal non dura / Come n'aprite in men celati inchiostri. / Per mostrarne co' bei concetti vostri / Quel Divin che riserra empia natura / In carcer tetro, ove a se stessa fura / In pene un tempo e gl'ori eterni e gl'ostri. / Perché a voi lo stil vago e le parole / Di voi negate? Ahimè che mal s'asconde / Il chiaro Febo al suo virgineo choro, / Scoprite hor donque a noi come Amore suole / Separarci da noi de scritto e d'onde / Venghin queste alme e le potentie loro.
<p. 5> AL MOLTO MAGNIFICO / ET ECCELLENTISS. MES- / SER FRANCESCO TORELLO / da Fano Dottor di leggie, del Illustriss- / simo et Eccellentissimo Duca / di Firenze Auditore / degnissimo. <inc> Havendomi eccellentissimo Messer Francesco molti di quelli amici, i quali solo col ricercarmi mi costringevano a fare il desiderio loro, domandata con grande instanza l'espositione di quel sonetto, che io lessi nel mese d'Aprile passato nel Accadamia [sic] Fiorentina <p. 6> <expl> Quella acceti [sic] non il picciol donarello disproportionato a la grandezza sua, ma il pronto e volontaroso animo che ho di mostrargli quanto io gli sia affettionatissimo servitore, e questo sia solo un ricordargli che io continuamente desidero ch'ella mi comandi. D.V.E. Servit. Pompeio da Pescia.
<p. 7> <inc> Ancora che l'amicitia meritissimo consolo, nobilissimi e ingegnosi uditori, sia posta l'ultima fra le dodici virtù morali, non però de l'altre è minore, anzi maggiore di tutte senza fallo si potrebbe dire. Però che con lei è sempre congiunta la giustitia, et essa è quella che mantiene le città e le compagnie de gl'huomini, senza la quale o non si potrebbe vivere, o molto incommodamente si vivrebbe, onde Aristotile nel principio del ottavo libro del Etica diceva che ell'era più necessaria a la vita humana che non è la giustitia, perché dove gl'huomini sono amici, non v'è bisogno d'altra giustitia. <p. 109> <expl> sì che in alcun modo non è lor disdetto il vedere gli amati corpi e quel che segue è manifesto, e ch'el fuoco d'un amante possa essere eterno, è il desiderio, lo dimostra il Petrarcha in più luoghi; diceva Lucretio parlando del Amore di Marte: Aeterno devictus vulnere Amoris. Però faccio fine. Il fine.
<p. 4> <sonnet> Pompeo che da quegl'alti eterni chiostri / Scendeste, ove discende allhor più pura / Quella parte di noi che tal non dura / Come n'aprite in men celati inchiostri. / Per mostrarne co' bei concetti vostri / Quel Divin che riserra empia natura / In carcer tetro, ove a se stessa fura / In pene un tempo e gl'ori eterni e gl'ostri. / Perché a voi lo stil vago e le parole / Di voi negate? Ahimè che mal s'asconde / Il chiaro Febo al suo virgineo choro, / Scoprite hor donque a noi come Amore suole / Separarci da noi de scritto e d'onde / Venghin queste alme e le potentie loro.
<p. 5> AL MOLTO MAGNIFICO / ET ECCELLENTISS. MES- / SER FRANCESCO TORELLO / da Fano Dottor di leggie, del Illustriss- / simo et Eccellentissimo Duca / di Firenze Auditore / degnissimo. <inc> Havendomi eccellentissimo Messer Francesco molti di quelli amici, i quali solo col ricercarmi mi costringevano a fare il desiderio loro, domandata con grande instanza l'espositione di quel sonetto, che io lessi nel mese d'Aprile passato nel Accadamia [sic] Fiorentina <p. 6> <expl> Quella acceti [sic] non il picciol donarello disproportionato a la grandezza sua, ma il pronto e volontaroso animo che ho di mostrargli quanto io gli sia affettionatissimo servitore, e questo sia solo un ricordargli che io continuamente desidero ch'ella mi comandi. D.V.E. Servit. Pompeio da Pescia.
<p. 7> <inc> Ancora che l'amicitia meritissimo consolo, nobilissimi e ingegnosi uditori, sia posta l'ultima fra le dodici virtù morali, non però de l'altre è minore, anzi maggiore di tutte senza fallo si potrebbe dire. Però che con lei è sempre congiunta la giustitia, et essa è quella che mantiene le città e le compagnie de gl'huomini, senza la quale o non si potrebbe vivere, o molto incommodamente si vivrebbe, onde Aristotile nel principio del ottavo libro del Etica diceva che ell'era più necessaria a la vita humana che non è la giustitia, perché dove gl'huomini sono amici, non v'è bisogno d'altra giustitia. <p. 109> <expl> sì che in alcun modo non è lor disdetto il vedere gli amati corpi e quel che segue è manifesto, e ch'el fuoco d'un amante possa essere eterno, è il desiderio, lo dimostra il Petrarcha in più luoghi; diceva Lucretio parlando del Amore di Marte: Aeterno devictus vulnere Amoris. Però faccio fine. Il fine.
Online references
Record last updated
08/03/2013
Record last updated by
Eugenio Refini
Collection
Citation
Eugenio Refini, ‘Espositione d'un sonetto platonico’, in Vernacular Aristotelianism in Renaissance Italy Database (VARIDB)
<https://wheat-gannet.lnx.warwick.ac.uk/items/show/4506> [accessed 21 November 2024]
<https://wheat-gannet.lnx.warwick.ac.uk/items/show/4506> [accessed 21 November 2024]